Come si può riuscire a vivere meglio?

Confusione etica e antichi insegnamenti. Come si può riuscire a vivere meglio? (si chiede Dario Bernazza, ma ce lo chiediamo tutti). Secondo Socrate – egli dice – ogni cosa è raggiungibile con l’esercizio poiché l’esercizio crea l’abitudine, qualsiasi abitudine [la parola abitudine (habit) sul Webster online: “Un comportamento che si acquisisce con la frequente ripetizione”, ndr].

Per vivere meglio basterebbe quindi esercitarsi a praticare le cose che effettivamente ci fanno vivere meglio e abbandonare gradatamente quelle che ci fanno vivere peggio. Sembra facile, ma in realtà non lo è – sostiene Bernazza – perché pochi sanno quali cose ci apportano vero benessere e gioia, che poi sono le cose, naturalmente, che più ci convengono.

La nostra natura ci spinge verso il benessere sia spirituale che materiale, non possono esservi dubbi al riguardo, dice Bernazza. In altre parole noi tenderemmo verso ciò che più ci conviene, ma il problema è che, curiosamente, oggi non sembriamo conoscere ciò che veramente ci conviene, altrimenti come spiegare il gran numero di persone insoddisfatte e anche infelici malgrado posseggano almeno il necessario per vivere e a volte anche più del necessario?

Come già accennato possiamo spiegare ciò – dice Bernazza – con il fatto che queste persone e tutti noi sappiamo ben poco o nulla di ciò che veramente ci conviene, persino nelle piccole cose e nelle scelte di tutti i giorni. In definitiva c’è tanta gente che visibilmente fa scelte sbagliate, scelte non convenienti, e che quindi vive sempre peggio, invece di vivere sempre meglio.
[Dario Bernazza, Vivere alla massima espressione, Editrice Partenone – di Luciano Bernazza & C – Roma 1989, p. 25 e sgg.]

Non sarà allora questo – mi chiedo, riprendendo Bernazza – uno dei problemi centrali dei paesi cosiddetti ricchi? Essi dovrebbero essere pieni di gente felice poiché tutti i requisiti per una certa felicità (o perlomeno tranquillità) sembrerebbero essere presenti. Ma poiché invece questa gente in buona parte felice non è deve esserci necessariamente alla base un problema di confusione etica: la gente non sa più cosa conviene e cosa non conviene fare (l’etica è la branca della filosofia che riguarda la condotta conveniente e il buon vivere).

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Spirito razionale sovrano. Per quel che ci riguarda al momento è molto difficile rispondere al quesito iniziale posto da questo filosofo della campagna del Lazio (come si fa a vivere meglio). Consideriamo solo il fatto che gli antichi romani, allievi in questo dei greci ma molto più pratici e solidi di loro, affrontavano la vita con successo grazie a una volontà di ferro e a un notevole raziocinio. I giovani rampolli delle famiglie abbienti romane si recavano in Grecia a studiare la filosofia che poi adattavano alla mentalità romana.

Ancora oggi ammiriamo uno spirito sovrano come quello di Gaio Giulio Cesare, calmo, sempre padrone di sé anche di fronte alle peggiori tragedie. I suoi scritti ne sono vivida testimonianza. Ma Cesare non era che uno dei frutti di una civiltà basata principalmente (anche se non unicamente) sul controllo della ragione. E’ tale metodo valido ancora oggi, in un’epoca che più che mai si abbandona all’irrazionale? La domanda sorge spontanea quando si leggono scritti come quelli di Bernazza, così pervicacemente convinto – esattamente come molti antichi – del potere taumaturgico della ragione.

In altre parole, è possibile oggi, nell’affrontare i problemi di tutti i giorni, trarre giovamento dalle filosofie del mondo antico? (vedi un post di questo blog sul tema)

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La giusta misura e le cose piacevoli della vita. Un esempio di applicazione della saggezza razionale degli antichi (in questo caso, del pensiero di Aristotele espresso nell’ “Etica Nicomachea”) può riguardare le dipendenze, che sono poi quegli errori “etici” che possono recarci danno. Le debolezze, addiction in inglese, possono rovinarci la vita (riprendiamo sempre Bernazza): chi beve troppo, chi fuma accanitamente, chi indulge troppo nel sesso o nel gioco d’azzardo si rovina gradatamente la vita.

In realtà quelli che un tempo erano chiamati vizi e oggi dipendenze non sono quella cosa mostruosa – osserva sempre Bernazza – che ci hanno insegnato alcuni preti, e alla base di molti cosiddetti vizi ci sono in realtà cose molto piacevoli, cose che rendono la vita degna di essere vissuta. Ma allora perché sono dannose? E’ vero il detto che tutto ciò che è piacevole nella vita in fondo ci fa male?

Quale potrebbe essere, ci chiediamo, una soluzione al problema che si ispiri alla saggezza dei nostri progenitori? Sicuramente la soluzione, per molti romani antichi, non era quella dell’astinenza, che è la soluzione del monaco. I romani, specie se precristiani, amavano la vita terrena e non quella ultraterrena (un mondo per loro di pallidi fantasmi, almeno fino alla diffusione di culti orientali salvifici: cfr. 1, 2). Essi amavano la vita prima della morte, non quella dopo la morte, e non erano inclini a rifiutarne le gioie. La soluzione dunque per il romano non risiedeva nella rinuncia alla vita e alle sue gioie bensì nel giusto mezzo, nella moderazione, nella non dipendenza, che ci rende schiavi e non liberi.

Quindi per Bernazza (e per gli antichi, Bernazza essendo in qualche misura, a mio parere, un antico) è la giusta misura che impedisce la genesi del vizio, il quale altro non è, per l’appunto, che una misura “non giusta” – cioè eccessiva – diventata abitudine”.

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Nota. Anthony Robbins, guru motivazionale e celebrity, ha applicato con successo la teoria delle abitudini di Aristotele. E’ solo un esempio tra tanti di applicazione del pensiero antico al mondo di oggi. Del resto, tutto il pensiero moderno affonda le sue radici in quello antico.